Prendine un altro...

E così ci hai lasciati.
Sei sempre stato un micio strampalato, strano, selvatico. Eri tu!

E' giusto parlarne ed è giusto esprimere ciò che si prova.
Non c'è nulla di sbagliato nel piangere, nell'essere tristi, nel prendersi un momento per sé.

Ti diranno: ma sì. È solo un gatto. Prendine un altro.
Ti diranno: non era una persona.
Ti diranno...

…ti diranno tante cose, soprattutto coloro che non hanno un rapporto speciale con un gatto, un cane, un criceto, un pappagallo, una tartaruga...

Ma il punto è proprio questo. Come si fa a classificare il dolore. E soprattutto: che diritto abbiamo di giudicare quello altrui?

Nessuno!

Ognuno ha la sua sensibilità, la sua storia e le sue relazioni.

Giudicare il dolore di un'altra persona sta solo a fare di noi persone supponenti e stupide, persone poco empatiche e giudicanti; significa arrogarsi il diritto di pensare che solo il nostro sia vero dolore e debba quindi valere per tutti.

Non è nel soggetto che il dolore va misurato, ma nella relazione che si ha con un soggetto.

Pensare che non vi sia relazione con un animale è limitare se stessi e gli altri.

E comunque è sempre un fare i conti con la morte, con l'ignoto, con quello che accadrà dopo.

A chiacchiere siamo bravi tutti.
Ma il dolore è dolore.
Anche per un gatto!


Essere immortale è cosa da poco:
tranne l’uomo, tutte le creature lo sono,
giacché ignorano la morte;
la cosa divina, terribile, incomprensibile,
è sapersi immortali.
(J. L. Borges)